La decadenza consiste nella perdita della possibilità di far valere un diritto che non sia stato esercitato entro un termine fissato dalla legge (ad es. il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni).
Per i termini di decadenza stabiliti in relazione ai diritti più importanti (i c.d. diritti indisponibili: per es., in tema di rapporti familiari), le parti non possono né modificare la disciplina prevista dalla legge, né rinunciare alla decadenza; e il giudice può rilevarla d’ufficio, cioè anche in assenza di una specifica richiesta di parte.
Se, invece, la decadenza è stabilita a tutela di diritti disponibili, le parti possono modificare il regime stabilito dalla legge e possono altresì rinunciarvi.
Clausole di decadenza possono essere stabilite anche dalle parti (decadenza c.d. negoziale), ma tali patti sono nulli se rendono eccessivamente difficile a una di esse l’esercizio del diritto (2965 c.c.).
Si considera termine decadenziale quello stabilito dall’art. 2113 c.c. sulle rinunce e transazioni: 6 mesi dalla cessazione del rapporto se il negozio è intervenuto in costanza di rapporto di lavoro ovvero, se successivo, dalla rinuncia o dalla stipula.