Secondo il report di Intrum la puntualità gioca un ruolo fondamentale per la sostenibilità, per la metà delle imprese l’inflazione allungherà i termini di pagamento (Fonte: ItaliaOggi Sette – Antonio Longo – 18/7/2022 n.167 p.14)
Il 53% delle imprese italiane (e quasi il 60% di quelle europee) teme che l’attuale galoppante aumento dei prezzi potrà incidere negativamente sulla capacità di pagare in tempo i fornitori e ritiene che tali difficoltà potranno aumentare nel corso dell’anno.
Ma, nonostante ciò, solo il 18% delle imprese si affida a gestori del credito, in grado di ridurre le tempistiche di incasso, proteggendo così i flussi di cassa.
A rilevarlo è la XXIV edizione dell’ European payment report curato da Intrum, uno tra i principali operatori europei dei servizi di credito, secondo cui se, da un lato, la puntualità dei pagamenti è la chiave per garantire la crescita delle imprese, dall’altro lato, tale necessità si scontra con la carenza di talenti e con sistemi aziendali obsoleti.
Perché i pagamenti non puntuali. Le imprese italiane stanno ancora gestendo le sfide legate alla pandemia ma individuano nei pagamenti veloci e nella sostenibilità ambientale le strategie per migliorare le performance.
In base agli esiti della ricerca (condotta simultaneamente in 29 paesi europei su oltre 11 mila aziende, di cui oltre 800 italiane), i pagamenti puntuali, per circa il 60% delle imprese, risultano cruciali per alimentare la crescita di prodotti e servizi e, in circa la metà dei casi, per rispettare i piani di assunzione di nuovo personale.
Inoltre, circa il 60% delle imprese italiane (il 53% in Europa) vorrebbe migliorare la gestione dei ritardi nei pagamenti, ma riscontra numerose difficoltà anche a causa della carenza di figure formate e competenti sia al proprio interno che sul mercato.
Il report evidenzia, quindi, il cosiddetto “mismatch” tra domanda e offerta di figure adatte a ricoprire ruoli chiave in azienda.
A parere degli esperti, anche i sistemi finanziari e amministrativi obsoleti impediscono alle imprese italiane, nel 52% dei casi rispetto al 46% in Europa, una gestione agile dei ritardi negli incassi.
In ogni caso, il 57% dei soggetti coinvolti nell’indagine afferma che il Covid-19 è stato uno stimolo per migliorare la gestione del rischio di ritardi nei pagamenti nella propria azienda.
La lunga attesa «Rimandare, attendere e sperare per non sparire», così si legge testualmente nel report per descrivere l’atteggiamento delle aziende che accettano pagamenti sempre lunghi nella speranza di poter incassare.
La maggioranza delle aziende ha dovuto accettare tempi di pagamento più lunghi di quelli che normalmente avrebbe concesso, nella consapevolezza che le agevolazioni sono controproducenti e obbligano le stesse a dover ritardare i pagamenti ai loro fornitori.
Appare evidente l’effetto domino che ne consegue. In tale contesto, quindi, il 79% del campione dichiara che negli ultimi dodici mesi gli è stato chiesto di accettare termini di pagamento più lunghi rispetto a quelli più congeniali, mentre il 72% ha accettato termini di pagamento più lunghi di quanto non si sentisse a proprio agio ad accettare.
Le azioni contro i ritardi nei pagamenti.
Tutte le aziende nel sud Europa, compresa l’Italia quindi, appaiono ancora piuttosto impreparate a gestire i ritardi nei pagamenti.
Le motivazioni possono essere molteplici: si preferisce trattare nuovi termini, negoziare, offrire sconti o cominciare un faticoso e dispendioso braccio di ferro.
Affidarsi a una società per il recupero crediti è ancora un’azione poco praticata o conosciuta (solo il 19%, infatti, ne fa uso).
La maggioranza cerca, invece, di porre rimedio cercando strategie per migliorare i processi interni.
Tutto ciò avviene in uno scenario in cui l’andamento negli anni sembra essere abbastanza stabile, malgrado la pandemia i tempi di pagamento non sembrano avere avuto particolari peggioramenti.
La puntualità dei pagamenti premia la sostenibilità.
La metà delle imprese italiane intervistate (48%) afferma che i clienti le ritengono sempre più responsabili degli standard ecologici e che non acquisterebbero i loro servizi/prodotti se li ritenessero dannosi per il pianeta.
La media europea è del 39%.
Gli analisti sottolineano che anche la puntualità dei pagamenti è centrale anche nell’ambito Esg (Environmental, social and governance), ossia nell’ambito dei parametri in base ai quali si misura la sostenibilità dell’attività di impresa.
Nello specifico, il 67% del campione intervistato ritiene che onorare entro le scadenze i propri debiti sia cruciale per costruire e mantenere il necessario rapporto di fiducia con i fornitori e ritiene che le tempistiche di pagamento dovrebbero far parte dei fattori rendicontati nell’ambito del reporting di sostenibilità.
Inoltre, circa il 70% degli intervistati ritiene che le imprese più grandi abbiano la responsabilità nei confronti della società di garantire pagamenti puntuali ai fornitori più piccoli.
Sarà necessaria, inoltre, una maggiore presa di coscienza da parte degli operatori, dal momento che oltre il 60% ha ammesso che raramente si pensa all’impatto negativo che un ritardo di pagamento può avere su un’impresa di piccole dimensioni.
Come evidenziato nel rapporto, la presa di coscienza delle imprese in ambito Esg non riguarda solamente il rispetto dei termini di pagamento.
Infatti, il 64% degli intervistati italiani, in linea con la media europea, ha dichiarato di aver accelerato in modo significativo i propri sforzi per diventare più sostenibile, requisito oggi fondamentale per continuare a presidiare i vari mercati di riferimento: nel 48% dei casi (39% in Europa) i clienti hanno chiesto loro conto delle prestazioni ambientali.
Infine, il 45% delle imprese, in linea con la media europea, afferma che la continuità aziendale nel prossimo decennio potrebbe essere a rischio se non si riuscisse a gestire al meglio l’impatto del cambiamento climatico anche in termini di sfide della transizione verso un’economia verde.
Etica e sostenibilità sono, pertanto, due valori preziosi e irrinunciabili per l’immagine e il futuro delle aziende.
Dall’indagine risulta anche una certa consapevolezza sul fatto che, presto o tardi, una grande percentuale di consumatori si orienterà esclusivamente sulle imprese che si dimostreranno più sostenibili ed etiche non solo nell’ambito ecologico, ma anche in quello finanziario nei pagamenti puntuali ai fornitori.
Le prospettive di crescita nel contesto della stagflazione. Dal rapporto emerge come gli impatti della pandemia siano ormai residuali e la maggior parte delle imprese si aspetta la completa risoluzione delle criticità connesse al Covid-19 entro l’anno.
L’aumento dell’inflazione preoccupa il 50% delle imprese italiane per il possibile impatto negativo sulle prospettive di crescita, il principale obiettivo degli intervistati (58% in Italia e 55% in Europa) rimane la crescita del proprio business, proteggendo al contempo i flussi di cassa dalle nuove sopraggiunte criticità anche attraverso un maggiore controllo dei costi.
Tuttavia, prevedendo che il costo del denaro continuerà ad aumentare, le imprese nel 59% dei casi si dicono più caute rispetto ai piani di finanziamento e di spesa.
Nel quadro che si sta delineando, le imprese devono far fronte all’aumento dell’inflazione combinato a un periodo di bassa crescita, mix che rischia di dare origine al fenomeno della cosiddetta “stagflazione”.
Nel 51% dei casi le imprese italiane ed europee si dicono preoccupate dal possibile rallentamento nello sviluppo dell’attività dovuto agli impatti negativi dell’aumento generalizzato dei prezzi e hanno preventivato in circa il 30% dei casi l’avvio di piani di controllo dei costi atti a preservare i margini.